Ogni gruppo ha degli utenti che fungono da amministratore, che, probabilmente senza saperlo, si assumono delle responsabilità nei confronti di terzi per l'intero gruppo.
Lo spunto proviene da un recente articolo de Il Giornale: ""Gli amministratori dei gruppi WhatsApp rischiano la galera" e da una sentenza di qualche anno fa del Tribunale del Vallo della Lucania, ufficio GIP, sentenza 24/02/2016 n° 22.
Il primo articolo, si riferisce a un avviso del Magistrato Distrettuale e dell Sovrintendente della Polizia di Varanasi, in India (quindi non in Italia), che affermano che "gli amministratori dei gruppi potranno essere ritenuti responsabili dei contenuti pubblicati e diffusi nella chat dai membri, tanto da rischiare di finire in galera se qualcosa risultasse illegale o punibile penalmente."
Sebbene quindi la questione non riguarda l'Italia o altri Paesi Europei, sicuramente ci suggerisce di fare degli approfondimenti sull'orientamento della giustizia nazionale. Ecco quindi la sentenza n. 22 del 24 febbraio 2016 di cui sopra, assume una particolare rilevanza poiché esamina la responsabilità degli amministratori di un gruppo costituito sul noto social network Facebook giungendo ad una conclusione senz'altro condivisibile.
La sentenza afferma che nel caso di pubblicazione di messaggi diffamatori sulla bacheca di un gruppo costituito presso il noto social network "Facebook" va esclusa la responsabilità a livello concorsuale degli amministratori del gruppo qualora gli stessi non siano in grado di operare un controllo preventivo sulle affermazioni che gli utenti immettono in rete.
Ma attenzione perché nella sentenza vengono indicati anche quando i profili di responsabilità vengano a decadere e quando invece l'inoperosità degli amministratori può configurare reato.
Tuttavia il G.U.P. nel valutare la posizione degli amministratori, pur condividendo che senz'altro la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso dei Social Network integri un’ipotesi di diffamazione aggravata, in quanto si tratta di una condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero quantitativamente apprezzabile di persone, esclude la responsabilità degli imputati poiché in concreto l'amministratore di un gruppo Facebook non è in grado di operare un controllo preventivo sulle affermazioni che gli utenti immettono in rete.
L'esempio è chiarificatore, perché si comprende che non è possibile ritenere che i contenuti diffamatori o comunque soggetti a procedimenti penali (odio razziale, istigazione a delinquere, pubblicazione di immagini illegali o altro) debbano darsi per condivisi dall'amministratore del gruppo. Questa responsabilità invece può essere ipotizzata quando il moderatore abbia scientemente omesso di cancellare, anche a posteriori, le frasi diffamatorie o, nel caso questo fosse impossibile, non abbia dichiarato una immediata presa di distanza e agito in maniera coerente a questo.
Da quanto esposto possiamo trarre adeguati conclusioni.
- Chi amministra gruppi social deve sapere che di fatto si assume responsabilità nei confronti di terzi o di ciò che avviene sul gruppo;
- è opportuno realizzare una sorta di linee guida che il gruppo deve rispettare e vigilare affinché le stesse non vengano infrante;
- è opportuno seguire attentamente quello che avviene sul gruppo e se non si ha la possibilità di farlo cedere l'amministrazione ad utenti più attivi;
- è necessario bloccare sul nascere comportamenti scorretti.
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